The importance of being a dreamer
Song
«mercoledì 9 novembre 2016»

Le uniche parole che funzionano, quando la mia mente straborda dalle meningi e non mi lascia nel silenzio, sono quelle di altri. E' questa la forma più profonda di empatia, di dialogo fra esseri umani. Lasciate stare le chiacchiere inutili, i "come stai" forzati, prendete la canzone che vi rappresenta e ascoltatela fino a farvi sanguinare le orecchie. Se vi sentite inutili e senza forze, cogliete quei sentimenti e fatevi raccontare da altri. 
Aiuta tanto sapere che qualcuno sa davvero come vi sentite perché è l'unico modo per sconfiggere quella solitudine orrenda che giunge all'improvviso. 

Here is a song
It reminds me of when we were young
Looking back at all the things we've done
You gotta keep on, keepin' on
Out to sea, it's the only place I honestly
Can't get myself some piece of mind
You know it's getting hard to fly
If I'm to fall
Would you be there to applaud?
Or would you hide behind them all?
'Cause if I have to go,
In my heart you grow
And that's where you belong
If I'm to fall
Would you be there to applaud?
Or would you hide behind them all?
'Cause if I have to go,
In my heart you'll grow
And that's where you belong
If I'm to fall
Would you be there to applaud?
Or would you hide behind them all?
'Cause if I have to go
In my heart you'll grow
And that's where you belong
Guess I'm outta time
I'm outta time
I'm outta time
I'm outta time
I'm outta time


Questi psicologi un po' maghi
«giovedì 20 ottobre 2016»

Come al solito ho in cantiere un sacco di post che stanno facendo la muffa e sapete di cosa ho voglia di parlare? Di psicologia ingenua. 
Vi avverto che il livello di complessità sintattica e grammaticale di questa breve riflessione sarà paragonabile a quello di una puntata dei Teletubbies e che gli sfoghi notturni che pullulano su questo blog sono, appunto, il tentativo di liberarmi di sassolini che mi porto dietro ogni tanto. 

In università, alcuni professori hanno deciso che il sapere psicologico dovesse essere conservato come il Santo Graal nella mente di super uomini e super donne. Ottimo lavoro, geniacci, sul serio. Sembra quasi che proteggiamo un segreto inconfessabile, non sappiamo spiegare nemmeno noi che cosa studiamo davvero e quale sia il nostro VERO ruolo nel mondo. Almeno, così è per voi mortali. 
Dovete invece conoscere la verità, l'inconfutabile, innegabile, celata verità. Ma arriviamoci per gradi.

Sono al quinto anno di Psicologia e credo ancora di non essere in grado di fare una diagnosi decente che non rovini la vita di una persona, nonostante i 30 e passa esami dati. Non mi sento Gillian Foster o Paul Weston. Non sono ancora capace di definirmi psicologa come desidero e sono ben lungi dall'essere una psicoterapeuta (ho la tachicardia solo a pensarci). 
Perciò, capirete bene quanto possa farmi girare le sfere cosmiche sentire pronunciare queste parole, in fila, dette pure con convinzione: "anche io sono un po' psicologo". NO.
Questa frase, ahimé, non è mitologica. Sfortunatamente, l'ho sentita tante volte. No, non lo ha detto solo mia nonna, che, porella, è nata nel 1920, quando ancora si conoscevano solo peni e vagine del caro (ma dove?) Freud e la psicoanalisi coi suoi lettini faceva parlare tutti nel sonno pretendendo di svelare gli arcani dell'umanità. Questa sentenza, questa frase meschina è piuttosto comune. Gli esperti la fanno rientrare in una certa "psicologia ingenua", quelladellagggeeente insomma, che fa parte del senso comune. Diciamo che, per me, è il bidone dell'indifferenziato dove ci buttiamo tutta quella roba che non sappiamo bene come spiegarci o dove collocare ma che, purtroppo, a livello economico frutta molto più della sostanza più profonda della materia. Di che cosa parlo esattamente?

In questo bidone dell'indifferenziat - SCUSATE in questa "psicologia ingenua" rientrano tutte quelle robe che la gente legge sul web, sui libri di "psicologia" del reparto della Feltrinelli, che ti promettono che tra un mese sarai un figone nuovo di zecca, una persona completamente risorta a nuova vita: ricco, bello e amato. No more problem. Wow. 

Non sto negando anche anche quella sia una forma di psicologia... ma è il suo aspetto più superficiale e, a mio parere, commerciale. Ammettiamo anche che quel "lifecoach" che vi svela perché va male la vostra vita in 300 pagine e come rimetterla in sesto in 4 semplici mosse mattutine rituali vi abbia davvero aiutato a stare meglio... rimane il fatto che vi state privando della vera essenza di voi stessi, che la tecnica comportamentale cura il sintomo ma, a meno che non abbiate già una buona capacità di autoriflessione, osservazione, empatia ecc ecc, non capirete il senso di quello che fate. 
Che non siete in terapia. 
Noi psicologi dovremmo pur campare, giustamente. Abbiamo bisogno di divulgare per far soldi. Come tutti, non prendiamoci in giro. Non si vive di soli psicotici (cuoricini).
Tuttavia, succede che quei libri, quei post sui vari blog, facciano più male che bene. Sentirete gente che "si sente nuova", che sta davvero meglio. 
Sento e vedo persone diagnosticarsi le malattie così, a random, che fanno "terapia" ad amici e colleghi, che pubblicano, credendoci davvero, non per pura vena sarcastica, quei post come "fai il test X per scoprire che personalità sei"...che credono (che Freud mi perdoni) di poter fare il Rorschach , "iltestdellemacchie" all'amico, di fronte ad un caffè in un bar...COSI, A CASO,  come se fosse un test del buon vecchio giornaletto "Cioè". 
NO, per. favore. 
Questo è stupro di una materia bellissima e profonda, quale è la psicologia. Direte voi: succede con tante altre discipline. Non proprio, vi rispondo.

Succede qualcosa di molto triste: oltre alla pretesa di essere psicologo dopo aver letto qualche cazzata sul web, visto qualche telefilm americano (io stessa credevo che avrei letto le espressioni facciali come Cal Lightman, che per me rimane ancora un figone eh.), si osa anche dire che sono tutte minchiate. 
La psicologia è religione, si basa sulla fede....abbiamo persino un nostro capo spirituale che non si sa bene chi sia perché rimane nascosto nell'ombra a leggere le carte, nel suo studio pieno di candele. 
Io vi guardo e tiro ad indovinare che problema abbiate, leggendo la smorfia napoletana. Poi, non contenta, vi ciuccio soldi per un'ora di chiacchierata informale dove vi chiedo solo "e lei come si sente al riguardo?". 
Però, siete anche voi un po' psicologi.

In sintesi: non si sa un cazzo di come funzioni davvero tutta la faccenda. Di questo, incolpo al 60% i tecnici della materia: si comunica poco, si diffonde poca conoscenza, non si parla in maniera chiara alle persone che non fanno parte del gruppo vacanze psicologithebest e così dilagano ignoranza e false informazioni. 
D'altra parte, capisco anche la rassegnazione di chi è dall'altra parte: il pregiudizio fa incazzare, la rabbia porta a chiusura in se stessi. In altre parole: uno psicologo vero perde la voglia di spiegare le cose a chi non vuol sentire o lo reputa un deficiente che fa il mago o il ciarlatano. Tutti hanno le loro ragioni. Ciò che non tollero, è che si valichino certi confini senza pensare, per una sola volta: "ma io non so abbastanza su questa cosa, non posso esprimere un vero giudizio, meglio che chiuda la bocca". 

Un giorno magari affronterò l'argomento con più calma e meno rabbia...MA NON E' QUESTO IL GIORNO!

Adieu. 




Le notti brave
«sabato 1 ottobre 2016»



“Il fatto è che tu hai proprio quello sguardo da lasciatemi proprio stare che non sopporto nessuno”. 

Devo ringraziare il collegio in cui vivo perché è sempre stato fonte di enormi emozioni per me: mi ha dato le più grandi gioie e le più grandi incazzature della mia vita (perdonate l’elegante gergo). In questo momento la riflessione è notturna: a due piani di distanza stanno espletando, in gruppo, i loro bisogni… sociali. Il fatto è che quando vuoi dormire perché sei stanco e non hai cazzi di festeggiare, risulta veramente difficile chiudere occhio e non maledire tutti i loro volti, uno per uno. 

Devo però dar loro il merito di una cosa: il mio scrivere. Le notti insonni sono sempre state il mio momento preferito per scrivere. Le uniche cose vagamente decenti che le mie mani abbiano mai prodotto sono venute fuori in serate come queste. Le ricordo tutte, nonostante la memoria spesso non mi accompagni. Si è sempre trattato di ore in cui non potevo dormire, svegliata o da scocciatori esterni o da demoni del tutto interiori che mi tormentavano. Il fatto è, come si può notare, scrivo raramente e, se succede, è solo perché sto provando un’emozione censurata, che non posso esprimere in altri modi concreti. Vivo stati d’animo all’estremo del sentimento quando butto giù qualcosa. Se cerco di farlo a mente fresca, quando sono in un momento di relativa quiete emozionale, allora i miei prodotti fanno pena. 

In ogni caso, non era di questo che volevo parlare. Oggi mi sento una logorroica mentale. 

Sto pensando, da troppi giorni, a troppe cose, troppo. Il problema è che tutto questo pensare si è accumulato e ora è venuto fuori. 

Ciò a cui ho pensato tanto tanto tanto sono le relazioni sociali e tutti i loro meccanismi.

La sensazione che ho è quella di vivere in una bolla, in cui osservo. Io osservo tutto. Vedo tutto. Non partecipo mai. Mamma diceva che da piccola ero una bambina molto energica ma anche molto seria. E ci credo davvero. So che ero davvero così. Perché non sono cambiata di una virgola. Sono innamorata della vita ma, chissà perché, non riesco mai a farne parte completamente, come vorrei. Tutt’oggi, teoricamente, osservo tanti tipi di relazioni sociali, i meccanismi di creazione e disfatta di un legame. Tuttavia, sto ancora cercando di capire come possa farmi coinvolgere in tutto questo. Mi spiego: aldilà dei miei legami intimi, non riesco davvero ad essere una persona veramente e adeguatamente integrata. C’è sempre quella sensazione di puro disagio, di voglia di andarmene a fare altro, se mi trovo in gruppo di persone. Il problema si presenta in quelle occasioni di pura vita sociale, come spesso accade in una comunità universitaria, quando sento di dover essere un'altra persona. 

“Tu ogni tanto ti rabbuiavi e dicevi mamma, mi sento un fantasma. Mi pareva di capire solo in apparenza che cosa intendessi dire e non ci ho dato tanto peso.”

Ed è così. Non capisco davvero se il problema sia solo mio o se, semplicemente, si tratti di un insieme di combinazioni fortuite per cui devi arrivare a trovarti con il giusto gruppo di persone, con le quali non hai necessità di indossare una maschera, con cui puoi rilassarti nel profondo, senza sprecare inutili energie. Non riesco ad adeguarmi, non ho la capacità di fingere per troppo tempo. Non so mischiarmi. 

Il fatto è che mi chiedo, costantemente: come fate ad adeguarvi? O siete davvero così?
Il dolore deriva dal fatto che, per natura, siamo esseri umani che hanno bisogno di relazioni sociali ma, sfortunatamente non tutti nascono con la stessa personalità. Il nocciolo di tutta la faccenda risiede in questo paradosso: vale la pena impegnarsi così tanto per stringere legami deboli (ribadisco che si escludono quelli più profondi)? Vale la pena star male? Obiettivamente, no. 

Detto ciò, si sa che il sentimento è tutt’altro che razionale, per cui non è tanto facile cambiare ciò che si sente. Finché parliamo di pensieri, sono tutti bravi. Finché si dice “cambia questa idea”, ci possiamo ancora ragionare su. Quello che non puoi ignorare è la rabbia, la sofferenza che ti attanaglia nel silenzio. In quei casi non c’è ragionamento che tenga. 
Per cui, ogni tanto, questo tema ritorna nella mia mente, si fa sentire quella parte un po’ fastidiosa che è del tutto umana e va presa com'è. Credetemi, è un po’ biologica tutta la faccenda. 
Se da una parte voglio accettare questa condizione, dall'altra sono frustrata perché non c’è soluzione che per il momento tenga. Sembra che l’equilibrio sopraggiunga solo quando non ho tempo per starmene in solitudine. E neanche questo va bene. 

Tra l’altro, rileggendo Nana, in questi giorni, sto trovando parecchi spunti su cui riflettere. Si, ancora. 

“Sai Nana, i sentimenti delle persone mutano con facilità e la realtà che si riflette nel loro sguardo è illusione... Non ci sono certezze.
Però, anche quando la luna ci appare calante in realtà la sua forma resta sempre immutata. Non dimenticarlo mai.”

Comunque, in questo momento, vorrei sparissero semplicemente tutti e facessero silenzio. Nessuna di queste persone desidera del tempo per pensare un po'?



Sai Nana...
«giovedì 22 settembre 2016»


"Eppure quando Ren comparve sul palco, rimasi come paralizzata. Come posso definire l'emozione che quella notte nacque nel mio cuore? Amore, eccitazione, tenerezza...nessuna di queste espressioni è quella giusta. Si trattava piuttosto di invidia mista a gelosia, nervosismo e desiderio. Ancora oggi, a volte, cado in preda all'ansia. I giorni che vivo con Ren, uno dopo l'altro, mi sembrano come un sogno impossibile. Perché per una come me, abituata a strisciare ai piedi degli altri, Ren è come un sole troppo brillante. A volte ho la sensazione che, per quanto lo desideri, non riuscirò mai a raggiungerlo veramente."


Into the wild... without expectation
«domenica 21 agosto 2016»


C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso... Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un'esistenza non convenzionale... 
Christopher McCandless

Ieri è stata una giornata strana, ambigua, confusa. Quando capita, ho bisogno di dare un senso al tempo, trovandolo in altro che non sia la mia vita. Così, ne ho approfittato per guardare "Into the wild", film che avevo in cantiere da parecchio tempo e che, per un motivo e per l'altro, non ho mai avuto la forza di affrontare, per una semplice ragione: è una di quelle pellicole che ti mandano in crisi, ti portano a chiederti se tu stia vivendo o sopravvivendo.
La trama la conoscevo da tempo, per cui la riporto sotto per chi fosse curioso di vederlo:

"Christopher McCandless è un giovane benestante: subito dopo la laurea in scienze sociali all'Università Emory nel 1990, dona i suoi risparmi all'Oxfam e abbandona amici e famiglia per sfuggire ad una società consumista e capitalista nella quale non riesce più a vivere. La sua inquietudine, in parte dovuta al pessimo rapporto con la famiglia e in parte alle letture di autori anticonformisti come Thoreau e London, lo porta a viaggiare per due anni negli Stati Uniti e nel Messico del nord, con lo pseudonimo di Alexander Supertramp."

La tematica del viaggio come "liberazione" mi è molto cara. La fuga di Chris la si può interpretare come si vuole: era un fuggire dalla famiglia o dalla società? Era semplicemente la volontà di alienarsi dal mondo corrente?

Potete vederla come volete. Personalmente, credo sia un insieme di tutto ciò, a cui si può aggiungere un bisogno d'avventura e, forse, l'incapacità psicologica di affrontare i propri demoni personali.
L'ultima reazione di Chris alla vita, che gli sta stretta, è andare, abbandonare ogni legame sociale e vivere principalmente solo, a contatto con la natura. Di tanto in tanto, nel suo lungo viaggio troviamo qualche comparsa, qualcuno con cui si ritrova a passare giorni o settimane.
Ognuno di loro dona al giovane conoscenze, un frammento di esperienza, la propria storia di vita, qualcosa di importante che lo aiuterà a farcela durante il suo percorso. Queste persone si legano molto facilmente al giovane ragazzo.

"Ma ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto e ovunque, in tutto ciò in cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose."

Al contrario, Alexander appare distaccato, come se vivesse sentimenti umani al minor livello di attivazione: il tempo trascorso in compagnia di costoro è piacevole ma non deve diventare la norma, l'obiettivo ultimo non è l'affiliazione, inizialmente.
L'unica cosa che conta è vivere profondamente, nella verità. Quest'ultima è l'altro grande tema che possiamo trovare: avendo vissuto nella menzogna di una famiglia borghese, dilaniata da violenza intima e nascosta, mascherata dalla triste e finta perfezione esteriore, Chris non tollera più "i corrotti", la cattiveria verso il prossimo, la bugia.
La natura non mente, è verità nuda, non ha nulla a che vedere con le falsità dei rapporti umani, con le costruzioni.
La soluzione, come già detto, è drastica: a Chris non basta spostarsi per l'America come un nomade. L'ultima tappa del viaggio deve essere definitiva, deve dargli la pace totale. Alaska, le terre selvagge.
L'esito del vagabondaggio, tuttavia, è la constatazione che

la felicità è reale solo quando condivisa.

Constatazione che potete interpretare, anche in questo caso, secondo le vostre idee.

Ogni tanto mi chiedo se viaggiare sia solo un modo per non vivere davvero la vita, per fare esperienza senza immergersi totalmente in essa, per non avere legami autentici o se questa sia l'opinione dell'uomo comune. E' preferibile condurre l'esistenza stabile, responsabile e suggerita da tutti? Bisogna seguire le aspettative altrui, alzare i propri standard e conformarsi a "ciò che è meglio"?
Ciò che vedo, intorno a me, è un'universale corsa al successo, lo stesso conformismo del passato che si configura in modo diverso: oggi sembra scontato l'imperativo "non accontentarti, non sprecare tempo", si deve rincorrere un certo stile di vita, bisogna avere un lavoro di tutto rispetto, non perché si desidera davvero farlo ma perché è giusto così. "Sprecare" la propria vita in altri modi, non convenzionali, è sbagliato, non avere grandi pretese ci qualifica come relitti della società.
Le persone si misurano in "esperienze" che le qualifichino: la rispettabilità, prima data dall'avere una casa, una macchina e il brunch della domenica, oggi è il risultato dell'aver "fatto esperienza", principalmente lontano, principalmente per poterlo poi dire agli altri.
Ci si misura così. E' giusto? E' sbagliato? Non ne ho idea.
Io so soltanto che l'unico imperativo che si dovrebbe seguire è la felicità, che sia nelle terre selvagge, nei rapporti umani, nel lavoro.
Ho sempre speso troppo tempo della mia esistenza a "non sprecare tempo", a seguire i consigli di coloro che ritenevo saggi, realizzati, di successo, ad impormi la voglia di raggiungere sogni di perfezione perché "è uno spreco non farlo".
Per come sono giunta a vedere le cose, ad oggi penso che sia un peccato fare violenza su se stessi, imponendosi di seguire una certa via che non è propria.
Il dettame sociale è questo. Ciò che mi sconvolge è che questo magro imperativo si estende a tutti, per cui tale metro di giudizio vale non solo per gli sconosciuti: i nostri amici, i familiari si valutano in base a queste "esperienze". Che si devono fare. 
Non si è più mossi desiderio profondo di fare, si preme su se stessi per sopravvivere alle esigenze del nuovo millennio, per salire un gradino nella scala della "considerazione sociale", per essere riconosciuti dagli altri, più che da se stessi. Così ci si sente migliori. L'esame di coscienza, la propria, è morto, sostituito da sentimenti di colpa, vergogna ed inadeguatezza verso lo standard comune.

Ci si illude che il benessere sia quello anche se si sta male. Ci si nasconde, si fanno propri desideri altrui, che sono obblighi, che non sono propri. Chi devia non sta bene, chi devia è un verme, chi devia è perso. Chi fa ciò che ama è un poveretto.

Il codardo è il nomade o chi resta? Il deviato è un eroe o un fallito? 















Cast Away
«giovedì 25 febbraio 2016»



L'orologio segnava ormai soltanto cinque minuti alla fine. Sarebbe finita presto. 
Si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi, esasperata e distrutta dal rimurginare costante e distruttivo di tutti quei mesi e smise di nascondersi, sospirò e confessò: "mi sento costantemente inadeguata. Fingo, fingo tutto il tempo, con tutti, con me stessa, con i miei pensieri. Mi impongo di sentire quello che non voglio o non riesco sentire, una bugia antica e profonda come la terra.
Riesco solo ad andare avanti facendo finta di essere autentica, facendo a pezzi l'interno. Sono stanca, inizio a cedere e il mio mondo si sgretola. A furia di costruire muri devo scappare costantemente dove nessuno possa vederli... per evitare che crollino, per evitare che vedano, per evitare che la menzogna si riveli, non devo coinvolgere nessuno, non posso farlo. Sono terrorizzata e l'isolamento peggiora giorno dopo giorno, centimetro dopo centimetro mi allontano da ogni cosa, più vicina al sorriso nello specchio. Chi sono? Non lo so più. Di che cosa ho bisogno? Lei lo sa? Può aiutarmi a capire o è come tutti gli altri a cui non importa mai sul serio? Con chi posso crollare? Chi può venire dalla mia parte, chi può vedermi? Chi può sopportarlo? Le voci giungono da lontano ma io non sono con loro, non ci sono mai stata, non mi hanno mai considerata. Mi guardi.. sono sempre più separata, più incapace di tenere tutto insieme. Sto cadendo lentamente sul fondo del pozzo dove nessuno potrà raccogliermi e dove sarò completamente sola, ad urlare. Una distanza che non si colma con niente, sto provando davvero a fare qualcosa? Un vuoto nero che sempre sarà un confine tra me e il resto. Vorrei solo che qualcuno giungesse qui sotto. Vorrei liberarmi di una disperazione che mi sembra senza fine, così infinita che non distinguo più il suo inizio e non posso immaginarne la fine, incontrollabile come il male che mi intrappola". 
Smise di parlare, si accorse di avere il battito accelerato e il fiato corto, distolse lo sguardo, spaventata, qualcosa si era mosso. I cinque minuti erano passati. 
"Ci rivediamo la prossima settimana". 



Day #24 - Be proud of yourself
«sabato 6 giugno 2015»


“Il trucco è che anche quando si perde, non si fallisce mai e l'unico modo per fallire è non combattere.

Quindi continua a lottare finchè non puoi più farlo.

Tieni la testa alta, entra nell'arena e affronta il nemico.
Combatti finchè puoi.
Non tirarti indietro. Non arrenderti mai.
Non si scappa, non ci si arrende.
Combatti per il giusto.
Combatti anche quando non ne puoi più e ti senti sul punto di crollare.”

Amelia Shepherd, 11x14
Sono laureata.

Continuo a ripeterlo anche se non riesco ancora a crederci. E' una gioia immensa, inimmaginabile.
E' stata una sfida con me stessa ed i miei limiti.
Ho messo da parte troppo per farmi rovinare questo momento da persone che credevo mi volessero bene ma, proprio quando ho detto "scusami, devo studiare", hanno deciso di voltarmi le spalle. Negli anni mi sono sempre sentita in colpa per ogni piccola mancanza, ho sempre sofferto come un cane, ho sempre chiesto scusa pensando a che cosa provava l'altra persona in gioco. Questa volta non sarebbe giusto nei confronti di me stessa, sarebbe come affermare che ho fatto qualcosa di sbagliato rincorrendo un obiettivo che, non solo mi serve, ma è la mia vocazione. Stavolta terrò la testa alta.
Alla fine, quelle persone che sono delle certezze da sempre non hanno esitato quando mi hanno vista distrutta alle prese con esami e tesi: hanno deciso di darmi amore e non indifferenza e cinismo. Io avrei fatto lo stesso. Non credo che mi verrebbe MAI in mente di tagliare i ponti con una persona cara solo perché è in un momento difficile durante il quale non può dedicarsi a me.
Anche perché, bisogna aggiungere che non c'era materialmente tempo nella mia vita per fare altro. Posso solo dire che quest'ultima sessione esami ha fatto terra bruciata intorno a me, per quei legami che già sapevo essere destinati a sopravvivere poco.
Non importa. Sono riuscita a raggiungere il mio piccolo traguardo e ne è valsa la pena. Ne è sul serio valsa la pena.
Anzi, la vita ti mette davanti altre ragioni per credere di nuovo nel genere umano, altre occasioni, altri incontri nuovi e meravigliosi che ti salvano con dei gesti inaspettati, gentili, che ti concedono la speranza di pensare all'esistenza di belle emozioni. Come ho sempre fatto, continuerò a credere che le persone e le storie possano essere sempre diverse e non ripetersi in un circolo vizioso.

Non credevo che sarei riuscita a farcela, con tutto quello che è successo quest'anno. Ero seriamente convinta che l'ultimo esame sarebbe andato male, invece non è stato così. Il professore poi, contrariamente a quanto mi era stato detto, è stato un pezzo di pane, gentilissimo, dolcissimo e molto disponibile e ha capito che eravamo tutti distrutti. Alla fine l'ho ringraziato tanto e sono corsa fuori dall'aula d'esame piangendo dentro.
Sono carica per la magistrale, soprattutto perché so che cosa devo fare e spero di non fermarmi, di farcela, di migliorare ancora.

Non ho ancora finito.

Go on and fight!

A domani