The importance of being a dreamer
Questi psicologi un po' maghi
«giovedì 20 ottobre 2016»

Come al solito ho in cantiere un sacco di post che stanno facendo la muffa e sapete di cosa ho voglia di parlare? Di psicologia ingenua. 
Vi avverto che il livello di complessità sintattica e grammaticale di questa breve riflessione sarà paragonabile a quello di una puntata dei Teletubbies e che gli sfoghi notturni che pullulano su questo blog sono, appunto, il tentativo di liberarmi di sassolini che mi porto dietro ogni tanto. 

In università, alcuni professori hanno deciso che il sapere psicologico dovesse essere conservato come il Santo Graal nella mente di super uomini e super donne. Ottimo lavoro, geniacci, sul serio. Sembra quasi che proteggiamo un segreto inconfessabile, non sappiamo spiegare nemmeno noi che cosa studiamo davvero e quale sia il nostro VERO ruolo nel mondo. Almeno, così è per voi mortali. 
Dovete invece conoscere la verità, l'inconfutabile, innegabile, celata verità. Ma arriviamoci per gradi.

Sono al quinto anno di Psicologia e credo ancora di non essere in grado di fare una diagnosi decente che non rovini la vita di una persona, nonostante i 30 e passa esami dati. Non mi sento Gillian Foster o Paul Weston. Non sono ancora capace di definirmi psicologa come desidero e sono ben lungi dall'essere una psicoterapeuta (ho la tachicardia solo a pensarci). 
Perciò, capirete bene quanto possa farmi girare le sfere cosmiche sentire pronunciare queste parole, in fila, dette pure con convinzione: "anche io sono un po' psicologo". NO.
Questa frase, ahimé, non è mitologica. Sfortunatamente, l'ho sentita tante volte. No, non lo ha detto solo mia nonna, che, porella, è nata nel 1920, quando ancora si conoscevano solo peni e vagine del caro (ma dove?) Freud e la psicoanalisi coi suoi lettini faceva parlare tutti nel sonno pretendendo di svelare gli arcani dell'umanità. Questa sentenza, questa frase meschina è piuttosto comune. Gli esperti la fanno rientrare in una certa "psicologia ingenua", quelladellagggeeente insomma, che fa parte del senso comune. Diciamo che, per me, è il bidone dell'indifferenziato dove ci buttiamo tutta quella roba che non sappiamo bene come spiegarci o dove collocare ma che, purtroppo, a livello economico frutta molto più della sostanza più profonda della materia. Di che cosa parlo esattamente?

In questo bidone dell'indifferenziat - SCUSATE in questa "psicologia ingenua" rientrano tutte quelle robe che la gente legge sul web, sui libri di "psicologia" del reparto della Feltrinelli, che ti promettono che tra un mese sarai un figone nuovo di zecca, una persona completamente risorta a nuova vita: ricco, bello e amato. No more problem. Wow. 

Non sto negando anche anche quella sia una forma di psicologia... ma è il suo aspetto più superficiale e, a mio parere, commerciale. Ammettiamo anche che quel "lifecoach" che vi svela perché va male la vostra vita in 300 pagine e come rimetterla in sesto in 4 semplici mosse mattutine rituali vi abbia davvero aiutato a stare meglio... rimane il fatto che vi state privando della vera essenza di voi stessi, che la tecnica comportamentale cura il sintomo ma, a meno che non abbiate già una buona capacità di autoriflessione, osservazione, empatia ecc ecc, non capirete il senso di quello che fate. 
Che non siete in terapia. 
Noi psicologi dovremmo pur campare, giustamente. Abbiamo bisogno di divulgare per far soldi. Come tutti, non prendiamoci in giro. Non si vive di soli psicotici (cuoricini).
Tuttavia, succede che quei libri, quei post sui vari blog, facciano più male che bene. Sentirete gente che "si sente nuova", che sta davvero meglio. 
Sento e vedo persone diagnosticarsi le malattie così, a random, che fanno "terapia" ad amici e colleghi, che pubblicano, credendoci davvero, non per pura vena sarcastica, quei post come "fai il test X per scoprire che personalità sei"...che credono (che Freud mi perdoni) di poter fare il Rorschach , "iltestdellemacchie" all'amico, di fronte ad un caffè in un bar...COSI, A CASO,  come se fosse un test del buon vecchio giornaletto "Cioè". 
NO, per. favore. 
Questo è stupro di una materia bellissima e profonda, quale è la psicologia. Direte voi: succede con tante altre discipline. Non proprio, vi rispondo.

Succede qualcosa di molto triste: oltre alla pretesa di essere psicologo dopo aver letto qualche cazzata sul web, visto qualche telefilm americano (io stessa credevo che avrei letto le espressioni facciali come Cal Lightman, che per me rimane ancora un figone eh.), si osa anche dire che sono tutte minchiate. 
La psicologia è religione, si basa sulla fede....abbiamo persino un nostro capo spirituale che non si sa bene chi sia perché rimane nascosto nell'ombra a leggere le carte, nel suo studio pieno di candele. 
Io vi guardo e tiro ad indovinare che problema abbiate, leggendo la smorfia napoletana. Poi, non contenta, vi ciuccio soldi per un'ora di chiacchierata informale dove vi chiedo solo "e lei come si sente al riguardo?". 
Però, siete anche voi un po' psicologi.

In sintesi: non si sa un cazzo di come funzioni davvero tutta la faccenda. Di questo, incolpo al 60% i tecnici della materia: si comunica poco, si diffonde poca conoscenza, non si parla in maniera chiara alle persone che non fanno parte del gruppo vacanze psicologithebest e così dilagano ignoranza e false informazioni. 
D'altra parte, capisco anche la rassegnazione di chi è dall'altra parte: il pregiudizio fa incazzare, la rabbia porta a chiusura in se stessi. In altre parole: uno psicologo vero perde la voglia di spiegare le cose a chi non vuol sentire o lo reputa un deficiente che fa il mago o il ciarlatano. Tutti hanno le loro ragioni. Ciò che non tollero, è che si valichino certi confini senza pensare, per una sola volta: "ma io non so abbastanza su questa cosa, non posso esprimere un vero giudizio, meglio che chiuda la bocca". 

Un giorno magari affronterò l'argomento con più calma e meno rabbia...MA NON E' QUESTO IL GIORNO!

Adieu. 




Le notti brave
«sabato 1 ottobre 2016»



“Il fatto è che tu hai proprio quello sguardo da lasciatemi proprio stare che non sopporto nessuno”. 

Devo ringraziare il collegio in cui vivo perché è sempre stato fonte di enormi emozioni per me: mi ha dato le più grandi gioie e le più grandi incazzature della mia vita (perdonate l’elegante gergo). In questo momento la riflessione è notturna: a due piani di distanza stanno espletando, in gruppo, i loro bisogni… sociali. Il fatto è che quando vuoi dormire perché sei stanco e non hai cazzi di festeggiare, risulta veramente difficile chiudere occhio e non maledire tutti i loro volti, uno per uno. 

Devo però dar loro il merito di una cosa: il mio scrivere. Le notti insonni sono sempre state il mio momento preferito per scrivere. Le uniche cose vagamente decenti che le mie mani abbiano mai prodotto sono venute fuori in serate come queste. Le ricordo tutte, nonostante la memoria spesso non mi accompagni. Si è sempre trattato di ore in cui non potevo dormire, svegliata o da scocciatori esterni o da demoni del tutto interiori che mi tormentavano. Il fatto è, come si può notare, scrivo raramente e, se succede, è solo perché sto provando un’emozione censurata, che non posso esprimere in altri modi concreti. Vivo stati d’animo all’estremo del sentimento quando butto giù qualcosa. Se cerco di farlo a mente fresca, quando sono in un momento di relativa quiete emozionale, allora i miei prodotti fanno pena. 

In ogni caso, non era di questo che volevo parlare. Oggi mi sento una logorroica mentale. 

Sto pensando, da troppi giorni, a troppe cose, troppo. Il problema è che tutto questo pensare si è accumulato e ora è venuto fuori. 

Ciò a cui ho pensato tanto tanto tanto sono le relazioni sociali e tutti i loro meccanismi.

La sensazione che ho è quella di vivere in una bolla, in cui osservo. Io osservo tutto. Vedo tutto. Non partecipo mai. Mamma diceva che da piccola ero una bambina molto energica ma anche molto seria. E ci credo davvero. So che ero davvero così. Perché non sono cambiata di una virgola. Sono innamorata della vita ma, chissà perché, non riesco mai a farne parte completamente, come vorrei. Tutt’oggi, teoricamente, osservo tanti tipi di relazioni sociali, i meccanismi di creazione e disfatta di un legame. Tuttavia, sto ancora cercando di capire come possa farmi coinvolgere in tutto questo. Mi spiego: aldilà dei miei legami intimi, non riesco davvero ad essere una persona veramente e adeguatamente integrata. C’è sempre quella sensazione di puro disagio, di voglia di andarmene a fare altro, se mi trovo in gruppo di persone. Il problema si presenta in quelle occasioni di pura vita sociale, come spesso accade in una comunità universitaria, quando sento di dover essere un'altra persona. 

“Tu ogni tanto ti rabbuiavi e dicevi mamma, mi sento un fantasma. Mi pareva di capire solo in apparenza che cosa intendessi dire e non ci ho dato tanto peso.”

Ed è così. Non capisco davvero se il problema sia solo mio o se, semplicemente, si tratti di un insieme di combinazioni fortuite per cui devi arrivare a trovarti con il giusto gruppo di persone, con le quali non hai necessità di indossare una maschera, con cui puoi rilassarti nel profondo, senza sprecare inutili energie. Non riesco ad adeguarmi, non ho la capacità di fingere per troppo tempo. Non so mischiarmi. 

Il fatto è che mi chiedo, costantemente: come fate ad adeguarvi? O siete davvero così?
Il dolore deriva dal fatto che, per natura, siamo esseri umani che hanno bisogno di relazioni sociali ma, sfortunatamente non tutti nascono con la stessa personalità. Il nocciolo di tutta la faccenda risiede in questo paradosso: vale la pena impegnarsi così tanto per stringere legami deboli (ribadisco che si escludono quelli più profondi)? Vale la pena star male? Obiettivamente, no. 

Detto ciò, si sa che il sentimento è tutt’altro che razionale, per cui non è tanto facile cambiare ciò che si sente. Finché parliamo di pensieri, sono tutti bravi. Finché si dice “cambia questa idea”, ci possiamo ancora ragionare su. Quello che non puoi ignorare è la rabbia, la sofferenza che ti attanaglia nel silenzio. In quei casi non c’è ragionamento che tenga. 
Per cui, ogni tanto, questo tema ritorna nella mia mente, si fa sentire quella parte un po’ fastidiosa che è del tutto umana e va presa com'è. Credetemi, è un po’ biologica tutta la faccenda. 
Se da una parte voglio accettare questa condizione, dall'altra sono frustrata perché non c’è soluzione che per il momento tenga. Sembra che l’equilibrio sopraggiunga solo quando non ho tempo per starmene in solitudine. E neanche questo va bene. 

Tra l’altro, rileggendo Nana, in questi giorni, sto trovando parecchi spunti su cui riflettere. Si, ancora. 

“Sai Nana, i sentimenti delle persone mutano con facilità e la realtà che si riflette nel loro sguardo è illusione... Non ci sono certezze.
Però, anche quando la luna ci appare calante in realtà la sua forma resta sempre immutata. Non dimenticarlo mai.”

Comunque, in questo momento, vorrei sparissero semplicemente tutti e facessero silenzio. Nessuna di queste persone desidera del tempo per pensare un po'?