The importance of being a dreamer
Day #16 - Passato, presente.
«lunedì 11 maggio 2015»

"Mi hanno detto che starò meglio. Che mi passerà e continuerò a vivere la mia vita come prima. Che cosa vuol dire come prima? Ho cercato l'ispirazione nella felicità e non è arrivata. Ora ne ho compreso il motivo. Avrò anche smesso di scrivere ma il blocco è sparito quando ho capito che scrivere è il mio dolore. Solo quando sono da rottamare butto giù qualcosa di decente, qualcosa che rappresenti quello che sto provando e ogni parola è puro dolore, oggi. Tutto è dolore oggi. 
A cominciare dal pensiero di domani."

Ho riaperto il documento da cui è tratto questo passo dopo mesi dalla sua prima stesura. L'ho riaperto oggi perché gli eventi mi hanno portata a riflettere su tante cose. Principalmente, su relazioni e passato perché, in fondo, si implicano a vicenda. E' curioso come già a distanza di mesi io rilegga queste righe e ricordi perfettamente come stavo nei momenti in cui le ho scritte. E so, tra qualche certezza pericolante e qualche dubbio, come invece sto, in questo istante. Mi ricordo dei sentimenti, mi ricordo delle sensazioni del mio corpo. Accetto di ricordare quelle esperienze perché ci sono passata attraverso.

"Sono il riflesso di un fascio di pianura. Ripulita e asettica, vuota, inutile e insignificante. Sono un guscio vuoto. Il pasto andato a male nel mio frigo. Sono niente. E nessuno, adesso, potrà cambiare il mio dolore. Non ho speranze, non ho idee, ho solo la convinzione e il bisogno di tornare indietro."

Sono sempre stata convinta del fatto che perdere qualcuno che ami, che sia un amico, un fidanzato, un familiare, una persona cara in generale, sia sempre un lutto. Non sto parlando solo della morte, mi riferisco a tutte quelle circostanze nelle quali quei pezzi della tua anima non sono più accessibili, per loro scelta o per decisione del fato, delle circostanze, della vita, di chi volete. In quei casi, inutile negarlo, la rabbia e la disperazione diventano le emozioni dominanti. Sembra che ci si possa lacerare dentro e di non avere più una ragione per vivere.  Il panico è padrone di te. E' inutile fare i potenti, è inutile fingere forza ed indipendenza: se ti stai ripetendo "starò bene, ce la farò" cinque minuti dopo, un giorno dopo, una settimana dopo è solo perché devi farlo, non ci credi, perché altrimenti saresti già guarito. Ti viene solo voglia di cancellare tutto ciò che è stato, dimenticare, far terminare il dolore che va ad ondate. Ma non va bene.
Per quel che mi riguarda, non trovo un modo per vivere la vita con distacco emotivo e credo che, in realtà, non sia possibile. Se reprimi i sentimenti, se fai finta che la gente ti scivoli addosso, se ostenti una freddezza che per la natura umana è irrealizzabile, evolutivamente, in qualche modo ti ritroverai a scontare quella fuga, quella soppressione. Perciò, il mio parere non cambierà mai in merito: è meglio vivere. E' meglio soffrire, è meglio mettersi in gioco e passare attraverso l'esistenza. Solo così si superano i dolori, solo così si va avanti, cercando di non accontentarsi di sopravvivere. La fuga è una soluzione a metà: prima o poi tutto ciò che sei, per i semplici mandati biologici che ci governano, torna a chiederti il conto.  Non potrai mai smettere di credere e persino quando non vorrai più ricordare, magari riuscendo davvero nell'impresa, non starai bene. Perché? Perché il passato va tenuto in mente, consapevolmente: i dolori vanno ricordati, sotto una luce nuova. Il segreto sta nell'affrontarli in modo diverso, nel rielaborarli e ricomporli in una visione nuova.

Questo mi è sempre stato chiaro: anche se spesso mi ritrovo a dire "vorrei proprio non aver fatto/detto/pensato" o "vorrei dimenticare", "non farò mai più lo stesso errore" non ci credo mai totalmente. Mi "piace" ricordare e ogni situazione della mia vita mi ha confermato che l'oblio non aiuta, che è un inutile spreco di energia.
Perciò non riesco ancora a sorridere davvero nel rileggere quelle poche righe scritte mesi fa, ma riesco, almeno, a non provare più quella disperazione, a farla convivere con il resto della vita, ad essere un po' meno persa. Questo per me è guarire, questo è elaborare il lutto e andare avanti, pur portando con sé i segni. Non mi vergogno della sofferenza, perché è una prova dell'amore di cui si è capaci, che, come ho già detto svariate volte, muove tutto. Senza fronzoli melensi.

Tutto ciò per dire che le relazioni non vanno quasi mai come speriamo ma credo sia meglio viverle completamente, essere felici e poi, eventualmente, farsi lacerare. I ricordi dei momenti belli rimangono preziosi, in ogni caso...amare è per qualcosa per cui vale la pena disperarsi.




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